L’uso dei farmaci in corso di gravidanza è una problematica di particolare complessità che richiede una adeguata conoscenza del metabolismo dei farmaci ma anche una notevole esperienza sul campo. Inoltre l’uso di farmaci in gravidanza coinvolge la sfera psicologica sia della donna gravida che del medico che opta la scelta di trattare e che pertanto risulta sempre difficile, un pò sofferta e accompagnata da recondite perplessità non sempre razionali.

L’uso dei farmaci in gravidanza è infatti gravato dal forte pregiudizio di causare danno al feto e spesso è ritenuto che il non assumerli tout court sia la scelta più corretta. In realtà, le cose non stanno esattamente così. Ci sono farmaci che non comportano rischi e altri che comportano rischi inferiori a quelli provocati dalla mancata assunzione.

Per questo motivo fare chiarezza sull’uso di farmaci che sono generalmente sono utilizzati nelle malattie epatiche croniche, che sebbene raramente possano concomitare ad una gravidanza, può essere utile a gestire questa situazione in maniera più consapevole.

Ai fini del loro uso in gravidanza i farmaci sono classificati dall’FDA in 5 classi sulla scorta del loro profilo di sicurezza e della disponibilità di studi di riferimento.

I farmaci sono classificati in:

Classe A

studi metodologicamente validi e controllati sull’uomo non hanno dimostrato rischi per il feto nel primo trimestre di gravidanza (e non c’è evidenza di rischio nei trimestri successivi)

Classe B

gli studi sugli animali non hanno dimostrato rischi  per il feto, ma non ci sono studi metodologicamente validi e controllati nelle donne in gravidanza OPPURE gli studi sugli animali hanno rilevato una tossicità, che non è stata confermata da studi metodologicamente validi e controllati in donne al primo e ai trimestri successivi di gravidanza

Classe C

gli studi sugli animali hanno rilevato una tossicità per il feto e non ci sono studi metodologicamente validi e controllati sull’uomo, tuttavia i potenziali benefici del farmaco potrebbero giustificarne l’utilizzo nella donna in gravidanza nonostante i potenziali rischi per il feto

Classe D

gli studi sull’uomo e i dati di farmacovigilanza hanno evidenziato un rischio per il feto, tuttavia i potenziali benefici del farmaco potrebbero giustificarne l’utilizzo nella donna in gravidanza nonostante i potenziali rischi per il feto

Classe X

gli studi sull’uomo o sugli animali hanno dimostrato l’insorgere di anomalie fetali e/o c’è evidenza di rischio per il feto dai dati di farmacovigilanza e i rischi associati all’utilizzo del farmaco in gravidanza sono chiaramente prevalenti rispetto a qualsiasi possibile beneficio

L’Agenzia italiana del farmaco consiglia fortemente il trattamento delle patologie epatiche in gravidanza perché un mancato trattamento può essere ancora più pericoloso per la salute della  mamma e del bambino.  (comunicazioneaifa.aifa@aifa.gov.it; sezione farmaci e gravidanza)

Di seguito pertanto saranno presi in considerazione una serie di farmaci generalmente utilizzati nell’ambito della cura delle malattie epatiche ed analizzati sotto il profilo della sicurezza del loro uso in gravidanza.

FARMACI ANTIVIRALI

In farmaci antivirali usati in ambito epatologico sono prevalentemente quelli utilizzati nell’infezione da virus B e C ed il loro utilizzo richiede sempre la gestione da parte di uno specialista che deve essere prontamente contattato nel caso la terapia sia già in corso al momento della diagnosi di gravidanza.

In termini generali i seguenti farmaci antivirali per l’epatite B: interferone, entecavir e adefovir non devono essere utilizzati in corso di gravidanza e nel caso la terapia sia già in atto devono essere sospesi con passaggio all’uso del tenofovir o della lamivudina o della telbivudina.

La terapia con questi ultimi 3 farmaci, se già in atto, può proseguire senza particolari problematiche.

Il trattamento con la lamivudina orale durante l’ultimo trimestre di gravidanza, in madri altamente viremiche, ha dimostrato di poter ridurre la trasmissione materno-fetale e il rischio di insuccesso dell’immunoprofilassi.

Per quanto riguarda i farmaci antivirali per l’epatite C non esistono evidenze scientifiche sulla loro sicurezza in gravidanza.

I farmaci oggi approvati per il trattamento dell’epatite C sono i seguenti: sofosbuvir, simeprevir, daclatasvir, ombitasvir/paritaprevir/ritonavir, dasabuvir, sofosbuvir/velpatasvir, sofosbuvir/ledipasvir, gazoprevir/elbasvir.

Tali farmaci sono stati sperimentati su animali in gravidanza e non sono stati osservati effetti sullo sviluppo fetale nel ratto e nel coniglio alle dosi più elevate testate. Tuttavia dati relativi all’uso dei farmaci antivirali in donne in gravidanza non esistono o sono in numero molto limitato.

La gravidanza, tuttavia, generalmente non aggrava il decorso della  malattia epatica HCV relata e questo deve tranquillizzare le madri infette.

CORTISONE

Il cortisone può essere assunto in gravidanza.

Si ricorda che il suo uso è fortemente raccomandato come efficace induttore della maturità polmonare fetale nel terzo trimetre di gravidanza evitando il distress respiratorio del neonato.

Nelle mamme affette da epatite autoimmune il trattamento deve essere attentamente valutato anche prima della gravidanza.

Solitamente nelle donne affette da epatite autoimmune , la gravidanza tende a migliorare la malattia, potenzando l’effetto immunosoppressivo dei farmaci.

Nelle donne che assumono già cortisone bisogna cercare di mantenere la remissione con la più bassa dose possibile.

AZATIOPRINA

L’uso dell’azatioprina, nel I trimestre di gravidanza, non ha ad oggi evidenziato un aumento di anomalie congenite nei nati esposti rispetto a quanto atteso.

Uno studio epidemiologico segnala un rischio aumentato di anomalie cardiache (in particolare difetti del setto interatriale e interventricolare) in feti esposti (AISF position paper on liver trasplantation and pregnancy. Digestive and Liver Disease 2016).

Nel II e III trimestre è stata segnalata una maggior frequenza di rallentata crescita intrauterina e di parto prematuro. Non è stato tuttavia definito se tali osservazioni siano correlate alla terapia con Azatioprina/6-Mercaptopurina (spesso in associazione ad altri farmaci, tra cui corticosteroidi) o alla patologia cronica materna che ne ha richiesto l’assunzione.

Negli schemi terapeutici dell’epatite autoimmune che prevedono l’assunzione combinata di steroidi con azatioprina, quest’ultima deve essere immediatamente interrotta, sebbene il rischio di nati morti e/o malformazioni fetali sia trascurabile.

In caso di monoterapia con azatioprina esiste il rischio di riacutizzazione della malattia dopo l’interruzione della terapia, pertanto il trattamento con azatioprina dovrebbe continuare monitorando strettamente gli enzimi epatici (AISF position paper on liver disease and pregnancy. Digestive and Liver Disease 2016).

ALTRI IMMUNOSOPPRESSORI

Gli inibitori della calcineurina (tacrolimus e ciclosporina) fanno parte della classe C di farmaci della classificazione dell’FDA. Sono farmaci la cui teratogenicità non è stata dimostrata in maniera definitiva poiché le percentuali di malformazioni fetali nei feti esposti erano simili a quelle dei feti non esposti. Tuttavia è presente il rischio di ritardo della crescita intrauterina, di aborto spontaneo e di prematurità.

Nelle donne in gravidanza, che necessitano di terapia immunosoppressiva, la dose di tacrolimus o ciclosporina deve essere notevolmente ridotta per prevenirne gli effetti tossici. Inoltre è fondamentale monitorare i livelli ematici dell’immunosoppressore e la funzione renale.

In conclusione i farmaci di questa classe possono essere utilizzati se i benefici per la madre sono maggiori dei rischi per il feto.

Il micofenolato mofetile è un farmaco immunosoppressivo che appartiene alla classe D di farmaci della classificazione dell’FDA. L’utilizzo di tale farmaco nel primo trimestre di gravidanza è stato associato ad un’alta incidenza di aborti e malformazioni congenite nel feto. Perciò non deve essere utilizzato in gravidanza.

ACIDO URSODESOSSICOLICO

L’acido ursodesossicolico è un acido biliare secondario, utilizzato nel trattamento di diverse patologie che provocano colestasi.

In gravidanza, in particolare, è utilizzato nella terapia della colestasi intraepatica della gravidanza. Tale condizione si verifica, in genere, nel 2°-3° trimestre, e si presenta con prurito e colorazione gialla degli occhi e della pelle (ittero). Un tempo veniva chiamata anche “prurito della gravidanza” o “colestasi intraepatica ricorrente” o “epatosi ostetrica”. Questa condizione si risolve dopo il parto senza conseguenze per il fegato.

La somministrazione di acido ursodesossicolico, al dosaggio di 9-15 mg/Kg, è sicura sia per la madre che per il feto, e determina la riduzione del prurito e la normalizzazione del valore degli enzimi epatici alterati.

Anche nelle donne con diagnosi già nota di colangite biliare primitiva e colangite sclerosante e che quindi assumevano già l’acido ursodessossicolico prima della gravidanza, tale farmaco può essere continuato con tranquillità, a dosaggio pieno, sia nel corso della gravidanza che durante l’allattamento.

FARMACI ANTIEMETICI

L’iperemesi gravidica è un disturbo della gravidanza caratterizzato da una forma acuta e incontrollabile di vomito e nausea. Si verifica nello 0.1% e 2% delle donne in gravidanza, soprattutto nel primo trimestre.

Il vomito persistente può essere causa di disidratazione e di squilibri idroelettrolitici.

Importante in questi pazienti non è solo la reidratazione e la supplementazione vitamnica (soprattutto Vitamina B) ma anche l’asunzione di antiemetici ovvero farmaci in grado di bloccare il vomito.

Tra questi è possibile assumere:

  • Agonisti della dopamina (metoclopramide 5–10 mg ) o domperidone 10–20 mg
  • Fenotiazine (proclorperazina)
  • Antistaminici (prometazina 12.5 mg/25 mg)
  • Antagonisti dei recettori H2 (ranitidina)

A cura di:
Prof.ssa Filomena Morisco; Dr.ssa Silvia Camera; Dr.ssa Valentina Cossiga
Università degli Studi Federico II, Napoli